TRA LA PAROLA POETICA E LA MUSICA- Sergio Pasquandrea: La dama che diventò un uomo

limbourg brothers- aprile, miniatura dalle “très riches heures du duc de berry”1411-1416

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Che la figura di Christine de Pizan sia così sconosciuta qui da noi, è un mistero di cui non smetto di stupirmi. Non solo perché si tratta della prima donna nella storia che sia stata una scrittrice di professione (cioè: la prima che abbia ricavato da vivere dalla scrittura), ma anche perché fu di una nostra compatriota, un’oriunda italiana cresciuta in terra francese.

Nata Cristina da Pizzano nel 1364 a Venezia, si trasferì a cinque anni presso la corte di Carlo V di Francia, dove il padre aveva ottenuto il prestigioso incarico di astrologo e medico personale del re. Fu proprio il padre che, vincendo l’opposizione della madre, fece studiare Christine, la quale ebbe occasione di frequentare la Biblioteca Reale del Louvre. Cominciò presto a scrivere poesia – ma questo era abbastanza comune fra le dame d’alto rango – e a quindici anni venne sposata a Étienne de Castel, notaio del re, dal quale ebbe tre figli. A quanto pare, il matrimonio fu felice, ma si interruppe nel 1390, quando il marito morì prematuramente, a soli trentacinque anni, rendendo vedova Christine che ne aveva ventisei. Il padre era scomparso tre anni prima, senza lasciarle alcuna eredità, e il nuovo re Carlo VI era avverso alla famiglia.
Dopo un periodo di tristezza e di lutto, espresso in poesie come Seulete sui (“Sono sola”), Christine prese una decisione inconsueta per l’epoca: non si risposò, né entrò in convento, ma – per usare le sue stesse parole – “divent[ò] un uomo […] capace di condurre le navi”. Fuori di metafora, fondò una bottega di calligrafia e legatoria, alla quale affidò la produzione e diffusione delle sue opere, che iniziò a scrivere copiosamente. Un’imprenditrice, la definiremmo oggi; e anche un’autrice di best-seller, visto che i suoi libri (poesie d’amore, poemi allegorici, testi di morale e devozione, ammonimenti ai re, narrazioni storiche, una biografia di Carlo V) furono apprezzati e soprattutto acquistati, consentendole di mettere insieme una discreta fortuna e di sostenersi autonomamente. Fra le sue opere più notevoli c’è “La città delle Dame” (1404-1405), testo proto-femminista in cui sostiene, contro le opinioni dell’epoca, la parità del sesso femminile rispetto a quello maschile.
Nel 1418, all’età di 53 anni, si ritirò in convento, ma nel 1429 ruppe il suo isolamento per scrivere il suo ultimo lavoro: “Le Ditié de Jehanne d’Arc”, un poema su Giovanna d’Arco, le cui vittorie proprio quell’anno avevano permesso a Carlo VI di farsi incoronare re di Francia. Morì in data sconosciuta, intorno al 1430.

Di Christine de Pizan, vi presento Dueil angoisseus, una delle poesie composte in memoria del marito, messa in musica da Gilles de Binchois, fra i massimi maestri della scuola fiamminga del Quattrocento.
Di seguito il testo originale e la traduzione, seguita dall’esecuzione da parte del duo Asteria (Sylvia Rhyne, soprano; Eric Redlinger, tenore e liuto).

Buon ascolto
Sergio Pasquandrea

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Dueil angoisseus, rage desmesurée,
Grief desespoir, plein de forsennement,
Langour sansz fin et vie maleürée
Pleine de plour, d’angoisse et de tourment,
Cuer doloreux qui vit obscurement,
Tenebreux corps sur le point de partir
Ay, sanz cesser, continuellement;
Et si ne puis ne garir ne morir.

Fierté, durté de joye separée,
Triste penser, parfont gemissement,
Angoisse grant en las cuer enserrée,
Courroux amer porté couvertement
Morne maintien sanz resjoïssement,
Espoir dolent qui tous biens fait tarir,
Si sont en moy, sanz partir nullement;
Et si ne puis ne garir ne morir.

Soussi, anuy qui tous jours a durée,
Aspre veillier, tressaillir en dorment,
Labour en vain, à chiere alangourée
En grief travail infortunéement,
Et tout le mal, qu’on puet entierement
Dire et penser sanz espoir de garir,
Me tourmentent desmesuréement;
Et si ne puis ne garir ne morir.

Princes, priez à Dieu qui bien briefment
Me doint la mort, s’autrement secourir
Ne veult le mal ou languis durement;
Et si ne puis ne garir ne morir.
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Dolore angoscioso, rabbia smisurata,
gravosa disperazione, piena di frenesia,
languore senza fine e vita sventurata
piena di pianto, d’angoscia e di tormento,
cuore addolorato che vive oscuramente,
corpo tenebroso sul punto di partire,
ahi, senza mai cessare, continuamente;
e non posso né guarire né morire.

Fierezza, durezza separata dalla gioia,
triste pensiero, profondo gemito,
angoscia grande nel triste cuore serrato,
lutto amaro portato copertamente,
peso d’afflizione senza felicità,
speranza dolente che prosciuga tutto il bene,
sono in me, senza lasciarmi mai;
e non posso né guarire né morire.

Inquietudine, tormento che tutto il giorno è durato,
aspro vegliare, trasalire nel sonno,
fatiche vane, il cui valore si fiacca
in cupo travaglio infelicemente,
e tutto il male, che tutto intero si può
dire e pensare senza speranza di guarire,
mi tormentano smisuratamente;
e non posso né guarire né morire.

Principi, pregate Dio che ben presto
mi doni la morte, se altro soccorso
non vuole il male in cui languisco duramente;
e non posso né guarire né morire.

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