IL MARE AMARUM- Lucia Guidorizzi: A proposito di “Per amare derive” di Giuseppe Nigretti.

 cesare re

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Eleganza, stile, misurata malinconia e soffuso disincanto caratterizzano l’ultima raccolta di versi di Giuseppe Nigretti “Per amare derive 2020-2013”- Gruppo Albatros, Il Filo 2023, che si snoda a ritroso, abbracciando la produzione poetica dell’autore che si sviluppa nell’arco di sette anni. La silloge, caratterizzata da grande equilibrio formale, è composta da poesie costituite da due strofe, la prima di sette versi, la seconda di due. In ogni poesia compare un verso in corsivo che diviene in un certo senso la chiave di lettura del testo stesso. In numerologia il sette esprime la globalità, l’universalità e l’equilibrio perfetto di un ciclo compiuto e dinamico, il due invece è legato alla sfera spirituale e dei sentimenti.
Nei suoi testi infatti Giuseppe Nigretti riesce a far dialogare individuale ed universale, a cogliere l’inquieto divenire della storia e dell’esistenza umana, creando una sinfonia di ritmi e visioni.
Grande protagonista delle sue liriche è il mare che si configura non un solo come un mare reale e concreto, ma come simbolo tangibile della vita e dell’interiorità. Il suo è un Mare Amarum ricco di contrasti e suggestioni: è il mare celebrato come primordiale archetipo, teatro del viaggio e dell’avventura, metafora dell’infinito, ma anche sperimentato come distesa sterile d’acqua salsa, luogo di perdite e dissipazioni, tra le cui onde sono sballottati cadaveri d’annegati e relitti di naufragi.
La ricerca artistica di Giuseppe Nigretti si svolge a più livelli ed è frutto di una profonda sinergia tra immagine e parola, tra risonanze metaletterarie e assidue sperimentazioni, decantate da una raffinatezza malinconica che è la cifra che lo contraddistingue. La sua poesia è rigorosa e rarefatta, prodotta da audaci passaggi dall’arte visiva alla parola. Ossimori, assonanze, metafore, ricercatezza lessicale e linguaggio polisemico e stratificato popolano i suoi testi, in una tessitura che si configura nell’ambito del mito, della biografia personale e della storia universale. Compare, in una dimensione del tutto diversa da quella zanzottiana, in cui Dolle era luogo-paesaggio, “cartolina mandata dagli dei” la figura di Dolle, evocata qui non come territorio leggendario e mitico, ma come senhal provenzale di un femminile trasfigurato che ricorda piuttosto la Douve celebrata da Yves Bonnefoy in “Movimento e immobilità di Douve” (1953). Affine è il percorso poetico di Nigretti a quello di Bonnefoy: in entrambi la parola è una e trina, nell’inquieta mobilità della stasi (moto-immoto). Nel dire di entrambi la figura di Dolle-Douve si presta a molteplici interpretazioni, ma l’enigma resta racchiuso in sé stesso, nel prodigio della sacra formula ed incantazione insita nel pronunciamento del nome.
Come afferma Ornella Cazzador nella sua interessante e approfondita introduzione “Dal chiuso stare sull’aperto andare delle onde” :
– Dolle è ombra salda e sogno fuggevole: musa di carne muta; musa di carta; la dea che su carte portò chimere. Chimera, dun- que, tra le nere righe (onde) del foglio, colei che prende e dà linfa al dire poetico, ma la cogliamo anche nell’atto di con- trastare la sublimazione poetica del poeta: se catrame smetti di scrivere / sulla sabbia e nell’aria ritornerai a vivere. Del re- sto, non è simile alla dantesca Beatrice, colei che rende beati, e guida il poeta verso il Paradiso; e neppure è comparabile alla leopardiana Silvia, colei che dona l’illusione poetica, prima dell’apparir del vero, che addita l’ultima e nuda verità della vita. E l’omonimia con la Dolle zanzottiana, un toponimo della sua terra veneta, è totalmente casuale. Dolle è legata inscindibilmente alla vita, divenuta miraggio impalpabile e fatale, che ci annoda all’icona scorsoia.-

DOPO LA BUFERA

quando qui dormono le calmate acque
chi appare fra polveri di marea – 
portando alle ore per rime parole? 
Dolle! che nel sole di scogliera 
era voce di beltà che il cuore
 a vela alla carne spingeva
 levando il carme dalla mano: 

del cantore fra le onde sorridente
 dove la barca di carta affondava. 

Dolle, “musa di carne muta” è simile per capacità trasfigurante e trasmigrante ad una ninfa, a un miraggio legato al fluire e rifluire delle onde che si frangono su chiare scogliere, in un perpetuo farsi e disfarsi delle maree, portatrici di vita e di morte.

C’ERA UNA VOLTA 

Questa nuda carta è la pelle tua
Dolle! musa sempre di carne muta – 
che da gemme la mano rigenera
 uguale a molle stella la immagina
 quando il sole si assonna sulla sera
 e il mare canta su scogliere chiare
 fra onde ricolme di miele a fontane: 

c’era una volta una voce di opale
 che lì si disciolse in carne di sale. 

Le rime e i ritmi di Giuseppe Nigretti sono sempre calibrati e prodotto di echi e consonanze con la grande poesia del Novecento della quale si percepiscono echi e affinità stilistiche, anche se il suo timbro permane originalissimo. Il suo investigare costante e inquieto, a tratti sommessamente ironico e profondamente contemplativo, si apre su paesaggi e passaggi interiori con assidua fedeltà alla metrica e alla misura. Come afferma Francesco Marchianò nella prefazione del libro: 

“Questa metrica permette all’autore di dar forma a poesie che da un lato si muovono come una vera e propria narrazione, con un incipit, una sorta di sviluppo e, soprattutto, una specie di conclusione, di finale, che si assapora quasi nei due ultimi versi di ciascun componimento. Dall’altro lato, però, a colpire di più è la fisionomia multidimensionale del discorso poetico, anzi dei discorsi poetici, che è possibile seguire immergendosi in questa lettura.”

NEL CALDO MATTINO 

nuda di sole si risveglia ancora
 nell’aria ferma di acidi e sudore
la terra straniera che mai divora
 con erbe e fiori le nostre macerie: 
stanche memorie per mute parole – 
che su derive la mano sommuove 
nel caldo mattino senza più voce 

dove allegra fra le scorie si spande
 la primavera con il verde sangue. 

In questo andare e venire febbrile e incessante delle onde, il soggetto si trasmuta nell’oggetto, identificandosi con esso. Le identità si frammentano e le correnti sottomarine spolpano le carcasse di ciò che si auspicava indistruttibile. In Giuseppe Nigretti la ricerca e la sperimentazione sono continue, così come il desiderio di accogliere e riconoscere l’inerme fragilità dell’umano. Dissipandosi sulla superficie delle acque del mare, inestricabile dedalo senza strade, si conosce il viaggio nella sua natura ambigua, la ricerca inesausta nella quale è implicito l’inevitabile naufragio.

SULLA CRUDA CARNE 

sulle orme d’ombra ascosa si cammina
sul pontile che ci sposa a derive
e da lì la gravida luna sale 
crudele sulla cruda carne sparge
Qui – che solo il sole dal mare sorge 
e al viandante con luce d’amore 
dal margine al naufragio lo sporge: 

nel buio dove danza il maestrale
con l’ombra che dalle spume risorge. 

Oscurità e luce, assenza e presenza si integrano incessantemente creando un dialogo per molti versi affine alla deriva della risacca, in virtù di quell’ acquoreo trascinamento nel quale sono coinvolti i corpi che galleggiano. Il naufrago, pur dominato dal desiderio del ritorno, è spinto altrove dalle correnti, che lo allontanano dalla sua meta, costringendolo ad affrontare nuove e complesse avventure.

DI SANGUE E PAROLE 

dal mare ritorna un sorriso di onda
 sul franto di sponda spuma memoria
 che a tremole aorte sale e s’aggruma
 – di sangue e parole inonda le carte – 
nella mano del viandante che langue
 sul confine dove a scorie s’abbruna
il naufrago pensiero in acque morte: 

il nostro sarcofago senza più porto
che affonda uguale ad un deserto veliero. 

“Deriva” acquisisce nella raccolta un valore polisemico in quanto sta a significare anche slittamento interpretativo, deviazione dalla linearità del discorso argomentativo o narrativo. Giuseppe Nigretti afferma che “La poesia è il sangue della parola che sgorga dal taglio della voce” e perciò il pronunciare la parola poetica produce sempre uno squarcio sonoro. La parola va pronunciata e nel suo dirsi produce inevitabilmente una ferita.

COLMO DI PAROLE

e senza sapere dove andare
 il poeta è uguale al mare:
 per amare derive su onde va
 e quando parola sbatte
 ritorna sfatto d’incanto 
al senza sole profondo
del mare è pure uguale 

la melanconica poesia

un sepolto colmo di parole – 

Come il mare è il poeta e come lui ignora il suo andare nel reiterarsi inquieto delle onde. La poesia di Giuseppe Nigretti è colta, intessuta di riferimenti artistici e citazioni letterarie, ma al tempo stesso spoglia nella sua rigorosa essenzialità. I testi procedono srotolandosi in un viaggio “a rebours” che giunge fino al 2014-13 ed esprimono in varie declinazioni la complessità del vivere. Le molteplici letture che offrono indicano le varie possibilità che il lettore ha davanti al foglio: far vibrare la parola scritta, pronunciandola, oppure lasciarla inespressa, consacrandola al silenzio.

Lucia Guidorizzi

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NOTA SULL’AUTORE

Giuseppe Nigretti è nato a Trani – Italia, ha compiuto studi artistici presso le Accademie di Belle Arti di Bari, Roma e Venezia, dal 1974 vive e lavora a Padova, dove ha insegnato Storia dell’Arte nella Scuola Secondaria Superiore. Ha partecipato dal 1969 a numerose collettive in Italia e all’estero, numerose anche le sue mostre personali e i suoi interventi poetici in manifestazioni pubbliche e private. Attento alle ricerche espressive contemporanee, nelle opere di Nigretti “l’oggetto si fa  soggetto” e la “ricerca-sguardo sugli oggetti si fa ricerca sguardo su se stessi”. Utilizza diversi media artistici: pittura, photo-graphia, video, performance, installazioni, poesia.

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Giuseppe Nigretti, Per amare derive 2020-2013- Gruppo Albatros Il Filo 2023

 

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